20 ottobre 2009

L'appello di Claudio Martini per la nostra Costituzione.

L’Italia non può vivere in un clima di permanente conflitto istituzionale e di drammatica lacerazione tra cittadini e politica. Né può progredire se si mettono l’uno contro l’altro il popolo e le Istituzioni.
Serve adesso, in un tempo di crisi grave per l’economia e l’occupazione, una forte coesione nazionale, un equilibrio vero tra i poteri, il rispetto delle regole da parte di tutti. Quel che accade in questi giorni, dopo la sentenza della Consulta che ha annullato il lodo Alfano, preoccupa tutti coloro che hanno a cuore le sorti del Paese e della sua democrazia.
Non è in discussione il diritto di governare da parte di chi ha vinto le elezioni. Ma il governo deve realizzarsi dentro le regole costituzionali, senza delegittimare gli altri poteri, senza scossoni che dividano il paese e la sua coscienza. Ora è il momento di consolidare e rinvigorire la Costituzione repubblicana, gli Organi dello Stato, la natura popolare e non populista, democratica e non demagogica dell’Italia nata dalla Liberazione.
Facciamo appello al sentimento di attaccamento alla Costituzione ed alla mobilitazione civica in sua difesa. Contro l’apatia, l’indifferenza, la distrazione verso il proprio particolare. Esprimiamo solidarietà e sostegno al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dimostratosi garante fedele e rigoroso dell’unità nazionale e dello spirito autentico della Costituzione.
Per costruire il futuro di questo paese è indispensabile il rispetto dello spirito e dei valori della nostra Costituzione: l’unità della Repubblica, il primato della persona, la divisione dei poteri, la libertà in tutte le articolazioni, il ripudio della guerra, l’autonomia della magistratura. Valori fondanti per una nuova e più solida democrazia di cui l’Italia ha bisogno.
Claudio Martini

02 settembre 2009

L'appello dei tre giuristi per la libertà di informazione.

L'APPELLO DEI TRE GIURISTI
L’attacco a "Repubblica", di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo. Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere. Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto.
Franco Cordero
Stefano Rodotà
Gustavo Zagrebelsky

17 febbraio 2009

L'incontro con Gherardo Colombo: spunti e riflessioni.

Qualche giorno fa si è tenuto nella sala consiliare del Comune di Capannori un incontro con l’ex pm e magistrato Gherardo Colombo. L’iniziativa era finalizzata a discutere del “senso delle regole”, nell’ambito di un progetto di riflessione e approfondimento della Costituzione a sessant’anni dalla sua nascita.
L’approccio di Colombo all’uditorio si è immediatamente dimostrato diretto e non convenzionale. Egli ha aggirato la cattedra da cui era previsto tenesse il suo discorso e si è posizionato in piedi di fronte alle postazioni del pubblico: un gesto che si può dire emblematico di quello che sarebbe stato il senso dell’intera conferenza. Colombo ha spiegato infatti che era sua intenzione eliminare qualsiasi barriera che potesse creare una separazione in senso gerarchico tra lui e gli spettatori. Da questa semplice considerazione ha avuto inizio la riflessione intorno alle regole che era l’oggetto della conferenza. Le regole –dice Colombo- sovrintendono all’organizzazione delle nostre vite, che noi ne siamo consapevoli o no, e senza di esse sarebbe impossibile la minima forma di relazione. Basti pensare al linguaggio, agli orari, alle diverse forme di comunicazione che popolano la modernità: tutto ciò poggia su patti stipulati tra esseri umani che decidono di vivere in comunità e per farlo riconoscono come necessario l’accordarsi su certi principi fondamentali, le regole appunto. Spesso però accade che la percezione dell’utilità di questi principi si perda agli occhi delle persone e cominci ad apparire più comodo e funzionale il non attenervisi. Una cosa colpiva nelle parole di Colombo: il suo tentativo –riuscitissimo- di parlare con chiarezza e semplicità e la volontà di non fornire pretesti a strumentalizzazioni né a deresponsabilizzazioni. E’ a questo punto che si è percepito l’aspetto più propriamente filosofico della riflessione: non una semplice apologia della legge in quanto tale, ma la vera e propria espressione di una visione del mondo. Ogni infrazione, seppur di minima rilevanza come ad esempio un parcheggio in sosta vietata, costituisce una violazione di quel patto e un passo verso una società in qualche modo meno “giusta”. Le regole, se fondate come dovrebbero sul concetto di persona quale valore assoluto, sono infatti garanzia di uguaglianza e presupposto di quella che Colombo definisce una “società orizzontale”, una società nella quale a tutti siano riconosciuti gli stessi diritti fondamentali -libertà, salute, istruzione, lavoro- e che ponga ciascuno nelle condizioni di realizzarsi nella vita come meglio crede. La “società verticale”, realizzatasi appieno nei regimi totalitari ma che in parte sopravvive anche nei Paesi democratici, è invece quella che assume come valore la legge del più forte, della selezione attraverso cui i “migliori” si affermano relegando in condizioni di marginalità e subordinazione chi non raggiunge risultati altrettanto brillanti. La piramide è l’immagine che meglio simboleggia tale organizzazione gerarchica dell’umanità. In questo tipo di società i principi fondamentali vengono costantemente violati e la legge è strumento di autotutela e autoconservazione di chi detiene il potere. Per questo è importante ribellarsi a regole che sanciscano la discriminazione e la disuguaglianza e sviliscono la dignità dell’individuo, ma è altrettanto importante osservare quelle che presiedono all’organizzazione del vivere comune, in modo da impedire che si affermi un assetto sociale piramidale: chi è al vertice della piramide si regge anche grazie a chi, trasgredendo per acquisire piccoli vantaggi, si fa strumento inconsapevole dei potenti e gradino intermedio della costruzione gerarchica.
Il cammino verso una società più equa e che ponga al centro la persona non pare concluso né vicino a rapido compimento; tuttavia Colombo diffida dal disperare e, con un ottimismo lontano da utopismi e illusioni, afferma che ciò che sembrava un tempo inconcepibile –fine della schiavitù, emancipazione femminile, sanità e istruzione per tutti- è in seguito divenuto obiettivo concreto e spesso si è realizzato. L’importante è non perdere né la pazienza né la speranza e continuare a battersi per quei principi. Un insegnamento che chi fa politica dovrebbe custodire gelosamente.

09 gennaio 2009

L'appello della Tavola della Pace: fermare la guerra a Gaza non è un obiettivo impossibile.

Quanti bambini, quante donne, quanti innocenti dovranno essere ancora uccisi prima che qualcuno decida di intervenire e di fermare questo massacro? Quanti morti ci dovranno essere ancora prima che qualcuno abbia il coraggio di dire basta?
Vergogna! Quanto sta accadendo è vergognoso. Vergognoso è il silenzio dell’Italia e del mondo. Vergognosa è l’inazione dei governi europei e del resto del mondo che dovevano impedire questa escalation. Vergognoso è il veto con cui gli Stati Uniti ancora una volta stanno paralizzando le Nazioni Unite. Vergogna!
Niente può giustificare un bagno di sangue. Nessuna teoria dell’autodifesa può farlo. Nessuno può rivendicare il diritto di compiere una simile strage di bambini, giovani, donne e anziani senza subire la condanna della comunità internazionale. Nessuno può arrogarsi il diritto di infliggere una simile punizione collettiva ad un milione e mezzo di persone. Nessuno può permettersi di violare impunemente la Carta delle Nazioni Unite, la legalità e il diritto internazionale dei diritti umani.
Tutto questo è inaccettabile. Inaccettabile è il lancio dei missili di Hamas contro Israele. Inaccettabile è la guerra scatenata da Israele contro Gaza. Inaccettabile è l’assedio israeliano della Striscia di Gaza. Inaccettabile è la continuazione dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Inaccettabili sono le minacce di distruzione dello Stato di Israele. Inaccettabili sono le violenze, le umiliazioni e le immense sofferenze quotidiane inflitte ai palestinesi e la costante violazione dei fondamentali diritti umani. Inaccettabile è il nuovo muro costruito sulla terra palestinese. Inaccettabile è il silenzio e l’inazione irresponsabile dell’Onu, dell’Europa e dell’Italia.
La continuazione di questo dramma è una tragedia per tutti. La più lunga della storia moderna. Nessuno può chiamarsi fuori. Siamo tutti coinvolti. Tutti corresponsabili. Questa guerra non sta uccidendo solo centinaia di persone ma anche le nostre coscienze e la nostra umanità. Il nostro silenzio corrode la nostra dignità.
Complici della guerra o costruttori di pace? Dobbiamo fare la nostra scelta. Altre opzioni non ci sono.
Di fronte a queste atrocità, dobbiamo innanzitutto cambiare il modo di pensare. Non ha alcun senso schierarsi con gli uni contro gli altri. Occorre trovare il modo per aiutare gli uni e gli altri ad uscire dalla terrificante spirale di violenza che li sta brutalizzando. Anche la teoria dell’equidistanza è insensata perché nega la verità e falsa la realtà. La vicinanza a tutte le vittime è il modo più giusto di cominciare a costruire la pace in tempo di guerra.
Dobbiamo uscire dalla cultura della guerra. E’ vecchia e fallimentare. Nessuna guerra ha mai messo fine alle guerre. La guerra può raggiungere temporaneamente alcuni obiettivi ma finisce per creare problemi più grandi di quelli che pretende di risolvere. Non c’è nessuna possibilità di risolvere i problemi dei palestinesi, di Israele e del Medio Oriente attraverso l’uso della forza. La via della guerra è stata provata per sessant’anni senza successo. Anche il buon senso suggerisce di tentare una strada completamente nuova.
Dobbiamo pensare e realizzare il Terzo. Non sarà possibile risolvere la questione palestinese o mettere fine alle guerre del Medio Oriente senza l’intervento di un Terzo al di sopra delle parti. Oggi questo Terzo purtroppo non esiste. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è ancora paralizzato dal veto degli Stati Uniti. I governi europei sono divisi e incapaci di sviluppare una politica estera comune. Ma questa realtà non è immutabile. Esserne consapevoli deve spingerci a lavorare con ancora maggiore determinazione per pensare e realizzare il Terzo di cui abbiamo urgente bisogno.
Fermare la guerra non è un obiettivo impossibile. Le Nazioni Unite devono cambiare, imporre l’immediato cessate il fuoco, soccorrere e proteggere la popolazione intrappolata nella Striscia di Gaza. L’Europa deve agire con decisione e coerenza per fermare questa inutile strage e ridare finalmente la parola ad una politica nuova. Non può permettersi di sostenere una delle due parti. Deve avere un autentico ruolo conciliatore.
La guerra deve essere fermata ora. Non c’è più tempo per la vecchia politica, per la retorica, per gli appelli vuoti e inconcludenti. E’ venuto il tempo di un impegno forte, autorevole e coraggioso dell’Italia, della comunità internazionale e di tutti i costruttori di pace per mettere definitivamente fine a questa e a tutte le altre guerre del Medio Oriente. Senza dimenticare il resto del mondo. Per questo, dobbiamo fare la nostra scelta.
Giovani, donne, uomini, gruppi, associazioni, sindacati, enti locali, media, scuole, parrocchie, chiese, forze politiche: “a ciascuno di fare qualcosa!“