Una legge ad personam, tanto per cambiare: la settimana che si è appena chiusa è stata segnata dalle polemiche sul ddl sul cosiddetto “processo lungo”. La fiducia sul provvedimento che consentirà, tra l’altro, alla difesa di dilatare a dismisura le liste dei testimoni, con evidenti conseguenze sui tempi dei processi, è stata votata oggi al Senato: il ddl è passato con 160 voti a favore e 139 contrari; tornerà alla Camera, dove il Pd, come ha già fatto a Palazzo Madama, si batterà per impedirne l’approvazione definitiva. E se l’accelerazione impressa dall’esecutivo all’iter del provvedimento era già stata definita “inaccettabile” dalla capogruppo democratica Anna Finocchiaro (che oggi ha duramente stigmatizzato l’assenza di Berlusconi in aula) subito dopo il voto è arrivata la voce critica del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Palamara, che senza giri di parole ha spiegato come “processo lungo significa non arrivare mai a sentenza”. Ma questa maggioranza non voleva abbreviare i tempi dei processi? Un pessimo inizio, mi viene da dire, per il nuovo Guardasigilli Nitto Palma, che al Senato era presente ma non ha detto parola su una scelta che, sempre per citare Palamara è dettata “dall’esigenza di risolvere situazioni particolari e non porta ad alcun miglioramento dell’efficienza del processo”.
Pessima la performance del governo e della maggioranza anche quando si è trattato di discutere le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Pdl, Udc e Lega sul ddl contro l’omofobia.