20 luglio 2011

Ero a Genova dieci anni fa

Ero a Genova, dieci anni fa. Il 21 luglio 2001.
Ci ero arrivata in pullman, con i ragazzi dei movimenti, delle associazioni, con chi aveva scelto, anche da Lucca, di muoversi per far sentire la sua voce ai grandi del mondo barricati in un centro storico blindato a prendere decisioni che riguardavano, come sempre, tutti noi.
Siamo arrivati il giorno dopo gli scontri di via Tolemaide, meno di 24 ore dopo la tragedia di piazza Alimonda: Carlo Giuliani, 23 anni, era stato ucciso da un colpo da arma da fuoco.  
Ero stata eletta alla Camera da pochi mesi: il 21 luglio sono partita con un collega, convinta che non si potevano lasciare andare da soli, in quel clima, i ragazzi e tutte le persone che volevano manifestare pacificamente e liberamente il loro dissenso.
Quando siamo arrivati a Genova abbiamo trovato una città sospesa, quasi tremante, sconvolta dal dramma e segnata dagli scontri, in attesa di capire, di conoscere una verità che nella sua interezza ancora non c’è. Perché nonostante tutto sulla dinamica e sulle responsabilità di quella morte così improvvisa e allo stesso tempo così ‘annunciata’ non è stata fatta piena luce.
Di quel 21 luglio ricordo la tensione. Ricordo i timori nelle parole di chi ci ha visto partire, come mio padre che mi diceva: “È pericoloso”. Ricordo l’arrivo in una città stravolta, già ferita dagli scontri del giorno prima. Ricordo le violenze alla manifestazione (autorizzata e pacifica) sul lungomare, i lacrimogeni, il corteo schiacciato tra le forze dell’ordine e il mare. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di due ragazzi di Lucca bloccati in un portone, che non potevano uscire perché appena fuori, in strada, infuriavano le cariche della polizia.
Quello stesso giorno sono stata alla scuola Diaz, la sede del Genoa social forum, poche ore prima della brutale irruzione nella notte che avrebbe trascinato a Bolzaneto, nella caserma della Celere, tra insulti e botte di una violenza inaudita, molti ragazzi che avevo visto lavorare tranquillamente.  
Ricordo anche le devastazioni subite dalla città, i vetri in frantumi, i cassonetti incendiati, le strade trasformate in campi di battaglia: erano state tante le chiamate dei cittadini alle forze dell’ordine mentre i fatti erano in corso. Alcuni manifestanti, pochi, sono stati condannati, anche in appello, per i gravissimi danneggiamenti, ma la maggior parte dei responsabili non è stata individuata. Al contrario, tantissimi dei fermati in quei giorni sono risultati estranei ai fatti che venivano loro contestati. Per le violenze di Bolzaneto e della scuola Diaz, al secondo grado di giudizio sono arrivate condanne e il riconoscimento di responsabilità civile. Con tante, troppe, contraddizioni dopo: come certe promozioni decise nonostante le condanne e ritenute inopportune anche da alcuni esponenti di un sindacato di polizia, il Silp, che dice chiaramente di voler “recuperare la fiducia della gente” e che “per farlo serve un segnale dal centro, da Roma”.
I segni sono rimasti sulla faccia di Genova. Cicatrici che non si chiudono, che restano aperte per l’Italia intera, perché quello che le ha prodotte è un nodo irrisolto. “Meraviglia che di fronte a fatti così gravi non ci sia stata da parte dello Stato una presa di coscienza, anche per rispetto verso la città… Mi aspettavo che qualcuno chiedesse scusa. E che chi aveva alte responsabilità, si dimettesse” ha detto il procuratore generale Luciano Di Noto. Ancora oggi da Genova arriva la richiesta di una commissione di inchiesta parlamentare. È ora di dare una risposta.

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