27 gennaio 2012

Giornata della memoria 2012

Sessantasette anni fa, il 27 gennaio, i soldati russi abbattevano i cancelli di Auschwitz. L’orrore dello sterminio irrompeva nella storia, con il tragico bagaglio di numeri inimmaginabili a contare i cadaveri di chi era stato assassinato dalla follia lucidissima del nazismo. 
Ho visitato il lager di Auschwitz lo scorso ottobre: con alcuni amici abbiamo chiesto ad un piccolo gruppo di ex deportati di guidarci nel nostro viaggio della memoria.  
Testimonianze, filmati, resoconti ci hanno trasmesso l’enorme portata delle atrocità commesse dai nazisti ai danni di esseri umani innocenti, colpevoli solo di essere “diversi”, “inferiori”, “subumani” secondo gli assurdi parametri del folle razzismo nazionalsocialista. Ma vedere, toccare, camminare attraverso gli edifici e le baracche seguendo il filo della memoria tracciato dalla voce dei sopravvissuti è stato diverso. Come se l’orrore potesse superare l’orrore, perché lì, dove sono morti a milioni ebrei, omosessuali, rom, sinti, donne, vecchi, bambini, il male assoluto è diventato realtà, è stato costruito pezzo per pezzo, meticolosamente, con i mattoni delle camere a gas e col filo spinato delle recinzioni elettriche. L’impossibile, come scrive Hannah Arendt, è diventato possibile: qualcosa che non poteva essere compreso o spiegato neppure con le peggiori pulsione umane, che non si può perdonare e neppure punire. Ed ha lasciato un segno indelebile.
La voce di chi è sopravvissuto restituisce l’enormità di ciò che è stato con una potenza che nessun altro mezzo può avere: il racconto degli ex deportati, che arriva direttamente dal fondo dell’abisso a cui sono sopravvissuti, non solo ci fa il grande dono di non permetterci di dimenticare, ma è anche prova di una forza inimmaginabile, della capacità di andare oltre il tremendo dolore del rievocare i terribili giorni della deportazione e dell’oppressione per offrire la propria testimonianza. Per questo coltivare la memoria, ricostruirla e trasmetterla è un dovere a cui non possiamo sottrarci, soprattutto di fronte alle giovani generazioni. E rappresenta il mezzo più potente a nostra disposizione per arginare e isolare quei rigurgiti di razzismo e xenofobia che purtroppo non abbiamo ancora completamente sconfitto.