01 maggio 2015

Primo maggio

Amare il proprio lavoro, scriveva Primo Levi, “costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”. Essere “competenti” nello svolgerlo e quindi provare piacere nel farlo, continuava l’autore di “La Chiave a Stella”, è “forse il tipo di libertà più accessibile, più goduto soggettivamente e più utile al consorzio umano”.

Oggi il lavoro è più che mai affine all’idea di libertà. Libertà quotidiana e materiale, libertà di fare. Di esprimere il proprio talento, di partecipare alla crescita della comunità, e soprattutto di godere di quella dignità che permette di costruire il futuro a partire dal presente. Un presente in cui si può vivere forti della consapevolezza di quanto essenziale sia il contributo di ciascuno per lo sviluppo del nostro Paese, per uscire dalla crisi economica che si è abbattuta anche sull’Italia colpendola duramente.

Ma oggi lavoro significa purtroppo anche urgenza. Urgenza, innanzi tutto, di dare risposte rapide ed efficaci a chi il lavoro lo chiede, a chi vuole lavorare per poter portare avanti la propria vita e garantire opportunità e futuro alla propria famiglia.

Ed eccola, un’altra parola chiave: futuro. Il futuro che dobbiamo costruire è quello dei nostri figli. Sono giovani che oggi cercano il lavoro, una generazione dinamica, preparata, volenterosa. Sono stati chiamati bamboccioni e choosy, ma non è quello che vedo io, questo ritratto mi pare approssimativo e certo non valido per la maggioranza di loro. Incontro ragazze e ragazzi motivati, che domandano di lavorare, che accumulano esperienza, che investono in formazione anche oltre il percorso universitario. Che non si lasciano fermare dalla stanchezza, giovani in gamba, che non si tirano indietro davanti alla necessità di cambiare e al contrario vivono i cambiamenti come evoluzioni professionali e possibilità di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze.

Questi stessi giovani chiedono anche di vedere riconosciuti diritti elementari come quello ad una retribuzione dignitosa, che permetta di coltivare le loro aspirazioni, che garantisca una stabilità su cui fondare progetti di vita sottraendoli all’arbitrio del precariato.

L’impegno del governo per dare una risposta in questo senso è già in atto. L’obiettivo è quello di offrire prospettive più ampie e maggiori garanzie a chi lavora. Mettendo in campo una flessibilità che valorizzi le competenze e contribuisca alla qualità, perché è l’eccellenza delle produzioni la chiave di una competitività rinnovata per il nostro Paese, in grado di offrire diritti, sicurezza e salario insieme alla crescita. Oltre ai provvedimenti che riguardano direttamente le modalità di lavoro come il Jobs Act, che ha finalmente spazzato via la giungla di contratti che ha tenuto in ostaggio un’intera generazione, l’esecutivo non si è tirato indietro neppure di fronte alla necessità di intervenire direttamente in vertenze importanti per i territori. Una per tutte, nella nostra Toscana, quella sul polo industriale di Piombino. Ma anche in Lucchesia, per fare l’esempio più recente, è costante l’attenzione alla situazione dei lavoratori di Mercatone Uno. Perché non possiamo dimenticare chi resta escluso, per periodi più o meno lunghi, dal mondo del lavoro e deve poter contare su tutele efficaci e adeguate. 

Alle imprese ci si è rivolti offrendo una serie di interventi per la competitività come i minibond, sgravi contributivi, tagli alle bollette, incentivi per l’innovazione tecnologica, tagli alle tasse: la costruzione di un tessuto produttivo saldo e competitivo sta anche nella capacità di rinnovarsi e di accettare le sfide di un mercato globale sempre più attento alla qualità, e allo stesso tempo di coniugare la crescita con la sostenibilità. In una dimensione di scambio che coinvolga aziende, lavoratori e anche il contesto sociale e l’ambiente in cui essi operano.

Tornare a dare al lavoro un ruolo di primo piano è la prima cosa da fare per portare l’Italia fuori dal buio di una crisi come non se ne vedevano da decenni. Una crisi che ha colpito le famiglie, devastato il tessuto produttivo e soprattutto depredato troppe persone della speranza.

Solidarietà è quindi l’ultima parola con cui voglio scandire il mio intervento: lavorare insieme, uniti, con un obiettivo condiviso che sia un nuovo benessere comune, una crescita sostenibile, la diffusione dei diritti. Un progetto da far crescere passo dopo passo, usando tutti gli strumenti che abbiamo, valorizzando i talenti di chi fa impresa e di chi l’impresa la fa muovere tutti i giorni con il lavoro delle sue mani. Per ricostruire la fiducia e offrire ai nostri giovani il futuro che meritano, grazie alle innumerevoli risorse, ogni ancora troppo inutilizzate, del nostro magnifico Paese.


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