Amare
il proprio lavoro, scriveva Primo Levi, “costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla
terra”. Essere “competenti” nello svolgerlo e quindi provare piacere nel farlo,
continuava l’autore di “La Chiave a Stella”, è “forse il tipo di libertà più
accessibile, più goduto soggettivamente e più utile al consorzio umano”.
Oggi il lavoro è più che mai affine all’idea di
libertà. Libertà quotidiana e materiale, libertà di fare. Di esprimere il proprio
talento, di partecipare alla crescita della comunità, e soprattutto di godere
di quella dignità che permette di costruire il futuro a partire dal presente.
Un presente in cui si può vivere forti della consapevolezza di quanto
essenziale sia il contributo di ciascuno per lo sviluppo del nostro Paese, per
uscire dalla crisi economica che si è abbattuta anche sull’Italia colpendola
duramente.
Ma oggi lavoro significa purtroppo anche
urgenza. Urgenza, innanzi tutto, di dare risposte rapide ed efficaci a chi il
lavoro lo chiede, a chi vuole lavorare per poter portare avanti la propria vita
e garantire opportunità e futuro alla propria famiglia.
Ed eccola, un’altra parola chiave: futuro. Il
futuro che dobbiamo costruire è quello dei nostri figli. Sono giovani che oggi
cercano il lavoro, una generazione dinamica, preparata, volenterosa. Sono stati
chiamati bamboccioni e choosy, ma non è quello che vedo io, questo ritratto mi
pare approssimativo e certo non valido per la maggioranza di loro. Incontro
ragazze e ragazzi motivati, che domandano di lavorare, che accumulano
esperienza, che investono in formazione anche oltre il percorso universitario.
Che non si lasciano fermare dalla stanchezza, giovani in gamba, che non si
tirano indietro davanti alla necessità di cambiare e al contrario vivono i
cambiamenti come evoluzioni professionali e possibilità di arricchire il
proprio bagaglio di conoscenze.
Questi stessi giovani chiedono anche di vedere
riconosciuti diritti elementari come quello ad una retribuzione dignitosa, che
permetta di coltivare le loro aspirazioni, che garantisca una stabilità su cui
fondare progetti di vita sottraendoli all’arbitrio del precariato.
L’impegno del governo per dare una risposta in
questo senso è già in atto. L’obiettivo è quello di offrire prospettive più
ampie e maggiori garanzie a chi lavora. Mettendo in campo una flessibilità che
valorizzi le competenze e contribuisca alla qualità, perché è l’eccellenza
delle produzioni la chiave di una competitività rinnovata per il nostro Paese,
in grado di offrire diritti, sicurezza e salario insieme alla crescita. Oltre
ai provvedimenti che riguardano direttamente le modalità di lavoro come il Jobs
Act, che ha finalmente spazzato via la giungla di contratti che ha tenuto in
ostaggio un’intera generazione, l’esecutivo non si è tirato indietro neppure di
fronte alla necessità di intervenire direttamente in vertenze importanti per i
territori. Una per tutte, nella nostra Toscana, quella sul polo industriale di
Piombino. Ma anche in Lucchesia, per fare l’esempio più recente, è costante
l’attenzione alla situazione dei lavoratori di Mercatone Uno. Perché non
possiamo dimenticare chi resta escluso, per periodi più o meno lunghi, dal
mondo del lavoro e deve poter contare su tutele efficaci e adeguate.
Alle imprese ci si è rivolti offrendo una serie
di interventi per la competitività come i minibond, sgravi contributivi, tagli
alle bollette, incentivi per l’innovazione tecnologica, tagli alle tasse: la
costruzione di un tessuto produttivo saldo e competitivo sta anche nella
capacità di rinnovarsi e di accettare le sfide di un mercato globale sempre più
attento alla qualità, e allo stesso tempo di coniugare la crescita con la
sostenibilità. In una dimensione di scambio che coinvolga aziende, lavoratori e
anche il contesto sociale e l’ambiente in cui essi operano.
Tornare a dare al lavoro un ruolo di primo
piano è la prima cosa da fare per portare l’Italia fuori dal buio di una crisi
come non se ne vedevano da decenni. Una crisi che ha colpito le famiglie,
devastato il tessuto produttivo e soprattutto depredato troppe persone della
speranza.
Solidarietà è quindi l’ultima parola con cui
voglio scandire il mio intervento: lavorare insieme, uniti, con un obiettivo
condiviso che sia un nuovo benessere comune, una crescita sostenibile, la
diffusione dei diritti. Un progetto da far crescere passo dopo passo, usando
tutti gli strumenti che abbiamo, valorizzando i talenti di chi fa impresa e di
chi l’impresa la fa muovere tutti i giorni con il lavoro delle sue mani. Per
ricostruire la fiducia e offrire ai nostri giovani il futuro che meritano,
grazie alle innumerevoli risorse, ogni ancora troppo inutilizzate, del nostro
magnifico Paese.
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