05 luglio 2012

Sulla riforma del lavoro


Pochi giorni fa il Parlamento ha approvato la riforma del lavoro. Il percorso attraverso il quale ci siamo arrivati porta il segno di un’urgenza che, come Pd, ci ha spinto a fare una scelta non semplice, consapevoli delle gravi difficoltà in cui versano l’Italia e i lavoratori italiani.
Non è un mistero che il Pd avrebbe voluto realizzare già in questa prima tappa un equilibrio diverso: per questo motivo il via libera alla riforma rappresenta per noi non certo un traguardo, ma una momento intermedio dopo il quale sarà necessario mettere a punto una strategia più efficace. Con l’obiettivo di salvare il Paese da un tracollo che renderebbe drammatica una situazione già molto difficile, abbiamo scelto la strada della responsabilità e abbiamo accettato di votare rapidamente affinché Monti potesse presentarsi forte di un sostegno compatto al decisivo appuntamento europeo della scorsa settimana e ottenere quelle misure per la crescita che riteniamo indispensabili. Non abbiamo firmato una cambiale in bianco: il presidente del Consiglio ha preso l’impegno formale di risolvere rapidamente la situazione dei lavoratori “esodati” e di portare a termine correzioni sul mercato del lavoro, con particolare attenzione alle questioni della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali.


Nel testo approvato in Aula la scorsa settimana convivono aspetti positivi e negativi; non mancano spunti che opportunamente sviluppati potrebbero fornire interessanti elementi di miglioramento.
È senz’altro positiva la scelta di indicare come contratto di riferimento quello a tempo indeterminato; altrettanto condivisibili sono le norme che stabiliscono un salario di riferimento per il lavoro a progetto e l’obbligo per le Regioni che ancora non l’hanno fatto di dare un compenso minimo a chi fa stage o tirocini. Sono misure che mirano a limitare la precarietà e a disinnescarne gli elementi di incertezza sociale che gravano sulle possibilità di ripresa del Paese. La questione dell’articolo 18 è stata poi una delle più dibattute: nonostante le polemiche, la netta presa di posizione del Pd ha ottenuto che l’iniziale posizione del ministero del Lavoro fosse ridimensionata, approdando ad una sostanziale difesa dell’articolo in una riforma che prevede, tra l’altro, il reintegro in caso di licenziamenti anche per motivi economici.
Elementi interessanti si registrano nei provvedimenti per l’occupazione femminile: è importante la norma a contrasto delle dimissioni in bianco, che riconosce l’abuso e stabilisce lo strumento per contrastarlo. In caso di maternità, ad esempio, il regime della convalida del licenziamento viene esteso da 1 a 3 anni di età del bambino in caso di maternità. È positivo il riconoscimento di sgravi contributivi a chi assume donne disoccupate. Infine c’è la misura sperimentale che prevede la corresponsione di voucher sostitutivi del congedo parentale. Si tratta di scelte complessivamente apprezzabili anche se in ogni caso serve una decisa messa a punto delle procedure e la pianificazione di interventi che agiscano in modo più organico.

Al contrario (ed abbiamo già chiesto una rapida modifica di questo aspetto della riforma) non possiamo condividere l’innalzamento del contributi previdenziali al 33% per le partite Iva, considerate “autentiche” a partire da 18mila euro lordi di fatturazione annua. Si tratta di una scelta che a nostro avviso mette i lavoratori coinvolti in condizione di pagare la riforma senza ottenere in cambio alcuna garanzia, come maternità o malattia.

Questi sono solo alcuni elementi di una riforma complessa che avrà bisogno di una serie di interventi successivi perché possa trasformarsi in uno strumento realmente efficace a sostegno della competitività italiana e del miglioramento delle condizioni dei lavoratori.  Le nostre richieste sono chiare: ci sta a cuore la situazione dei giovani, che scontano l’ipoteca di una precarietà “cattiva”, ben lontana dall’idea di flessibilità reciproca e adeguatamente retribuita, capace di valorizzare i loro saperi e le loro competenze. Abbiamo chiesto che sia reso più facile l’accesso al bonus precari per i lavoratori a progetto licenziati, vogliamo che il tema dei contributi figurativi nel lavoro stagionale venga affrontato in tempi rapidi e che la cosiddetta mini-Aspi venga migliorata: servono risposte immediate per far fronte alla gravità del momento che stiamo vivendo. E a proposito dell’Aspi, la nuova figura in cui convergeranno gran parte delle tipologie di ammortizzatori sociali, chiediamo che il nuovo sistema entri in funzione con uno slittamento di un anno rispetto al previsto, per evitare contraccolpi visto il protrarsi della crisi economica.

È impossibile nascondere che non possiamo dirci soddisfatti di questa riforma nel suo complesso. Ma in questa difficilissima transizione credo che l’elemento essenziale sia comprendere che dalla crisi non si esce per ideologie: voglio ricordare a chi ha contestato l’operato del Pd in difesa delle garanzie dell’articolo 18, che imprenditori e investitori esteri hanno individuato chiaramente le difficoltà ad operare in Italia. Ci parlano dei tempi burocratici insostenibili, delle carenze infrastrutturali, della lentezza della giustizia, della corruzione che continua ad affliggere parte del nostro Paese. Non certo dei diritti dei lavoratori: al contrario, colpirli significherebbe creare ulteriori condizioni di instabilità e sfiducia che non sono certo il viatico migliore per una ripresa solida e sostenibile come quella che vogliamo per l’Italia.
Per questo il nostro impegno è quello di rilanciare sui temi del lavoro e sulle necessità del tessuto produttivo. Cambiare è necessario, ma cambiamento deve significare nuovo sviluppo, quindi nuovi investimenti per adeguare infrastrutture, migliorare l’amministrazione pubblica, velocizzare i pagamenti, fare della ricerca una punta di diamante che valorizzi le capacità di tanti, troppi giovani che sono costretti a trovare in altri paesi una collocazione adeguata alle loro capacità, con la conseguente emorragia di energie e idee che l’Italia affronta ormai da decenni. E cambiare significa anche nuove garanzie, diffuse e adeguate ai diversi orizzonti in cui ci troviamo a muoverci. Garanzie che permettano di evitare la paralisi e l’insicurezza di una precarietà cronica e nociva, garanzie in grado di restituire fiducia a chi lavora, mettendolo in condizione di costruirsi un futuro e di dare il proprio contributo, al meglio di sé, alla ripresa italiana.


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