Futuro:
è la prima parola che mi viene in mente quando vedo un bambino. Un’altra è speranza,
di cui abbiamo disperatamente bisogno. Oggi in Italia e in tanti altri Paesi
nel mondo, la Giornata Internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
ricorda la data, il 20 novembre 1989, in cui l’Assemblea delle Nazioni Unite ha
approvato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.
Credo
che sia drammaticamente superfluo ricordare quanti bambini ancora oggi vivano
in situazioni insostenibili, privati della possibilità di vivere sereni, sani e
sicuri, del diritto a imparare per diventare adulti capaci di dare il loro
contributo ad un futuro migliore per tutti. Sono vittime di guerra, povertà e
della nostra incapacità di costruire un mondo giusto. Troppe volte senza voce, sono
i primi, insieme a tante donne, a fare le spese di una violenza subdola,
familiare, diffusa in questa nostra società che ha l’ambizione di definirsi “civile”.
Per
questo vorrei che le celebrazioni di oggi non restassero sulla carta.
Negli
ultimi mesi abbiamo fatto qualche passo, in Parlamento, con la legge contro la
violenza; sulla scuola si sta lavorando e credo che l’assunzione di diverse
migliaia di nuovi insegnanti di sostegno sia un segnale importante. Come è
importante la scelta di tante amministrazioni comunali di conferire la
cittadinanza simbolica ai bambini nati in Italia da genitori migranti, che
rappresentano, insieme ai loro coetanei italiani, la speranza di dare al nostro
paese un avvenire più solido e sereno, grazie alle loro competenze, ai loro
talenti, alla loro voglia di fare che dobbiamo avere la forza di sostenere e
incoraggiare.
Restano
tuttavia ancora molte, moltissime cose da fare. Contro la violenza, per il
diritto all’istruzione, per quello alla salute, per l’integrazione.
La
prima cosa che mi viene in mente è aprire gli occhi e il cuore.
Gli
occhi devono stare ben aperti per guardare il mondo e capire i suoi
cambiamenti. La globalizzazione prima e la crisi economica poi hanno cambiato
il pianeta: è impensabile e ottuso continuare a ragionare come se ogni nazione
fosse un’isola, tesa a difendere egoismi nazionali ormai impraticabili. Aprire
il cuore, ben oltre la tenerezza e il dolore fuggevoli che certe immagini e
certe notizie ci provocano, è indispensabile per nutrire la consapevolezza che
proteggere i bambini significa proteggere il nostro stesso futuro. Difendere l’ambiente
vuol dire difendere la loro eredità. Investire nella scuola e nella sanità
equivale a garantire loro l’opportunità di dare il meglio, in sicurezza. Costruire
cambiamenti culturali e sociali significa consegnare loro una prospettiva di
equità e uguaglianza per tornare a tessere quei legami di solidarietà,
vicinanza e giustizia che negli ultimi anni sono stati duramente intaccati da
scelte politiche ed economiche e che devono invece rinascere ed estendersi ben
oltre i confini delle comunità locali.
È
questo l’impegno che vorrei che prendessimo, insieme.
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